The nice vice

thenicevice1Ne parlavo qui qualche tempo fa. Ho sempre più l’impressione che, negli ultimi anni, il cinema statunitense abbia visitato il passato con più frequenza e con il preciso intento di rilevare il trascurato, di recuperare il trascurabile e di rivedere tutto ciò che, forse frettolosamente, aveva archiviato. L’ambizione, chiaramente, non accomuna tutti i film che hanno scelto il passato remoto e recente come ambientazione privilegiata, ma quelli che hanno intrapreso un viaggio a ritroso nel tempo – liberi dalle più superficiali ragioni estetiche e/o dai capricci di un marketing sempre più invadente – sono sembrati contraddistinti da una comune voglia di scoprire le cause che hanno condotto al presente e di risalire alle origini di attuali dilemmi etici. Inoltre, se si osserva che questi film, nel perseguire un tentativo di revisione, hanno spesso messo a repentaglio la chiarezza espressiva, la fluidità narrativa o l’efficacia di genere, risultando tanto enigmatici quanto difficili da classificare, appare chiaro che nel loro modo speciale di rivolgersi al pubblico abbiano voluto raccontare qualcosa di nuovo e diverso. Tali riletture, che hanno interessato perlopiù gli anni Settanta e Ottanta, hanno coinvolto l’horror – L’Evocazione 1 e 2 (James Wan, 2013 e 2015), It Follows (David Robert Mitchell, 2014) – il cinecomic – gli ultimi capitoli degli X-Men – il drama in tutte le sue declinazioni – American Hustle (David O. Russell, 2013), A Most Violent Year (Jeffrey C. Chandor, 1014), By the Sea (Angelina Jolie, 2015) – la commedia – Tutti vogliono qualcosa (Richard Linklater, 2016) e numerose serie tv – Vinyl, Stranger Things, The Get Down, Halt and Catch Fire, Fargo… E il trend, a giudicare le prossime uscite,  pare destinato a protrarsi.

thenicevice2A prescindere dalla scelta di ambientazione, ciò che contraddistingue questi prodotti è il tipo di osservazione sulla Storia (reale e passata), vista attraverso lo spioncino una storia  più piccola (di finzione piuttosto attuale). Se per alcuni la ragione del balzo all’indietro si esaurisce – come si diceva – in una semplice trovata narrativa o stilistica, per altri la ragione appare più precisa e complessa, palesando un chiaro intento di (ri)lettura. E’ il caso di due film molto diversi tra loro, accomunati però da uno stesso mix di generi (commedia e detective story) e una medesima ambientazione spaziotemporale (la Los Angeles degli anni Settanta) che, mediante la formula dell’indagine “a vuoto” ostacolata o accordata dal caso e, per questo, farsesca e frustrante, hanno scelto di ripercorrere il passato al fine di rivelare le cause delle odierne insanabili criticità. Si tratta di film permeati non solo da un’atmosfera nostalgica, ma anche e soprattutto caratterizzati da una progettualità sterile. Infatti, pur mostrando eventualità e retroscena traumatici, questi si danno come già accaduti, passati, ma appena rivelati e quindi, proprio perché privi della loro iniziale forza d’urto, più deludenti che dolenti, più mortificanti che mortali. Da qui il clima straniante, che si esprime anche attraverso l’estemporanea comicità. Mi riferisco a Vizio di Forma (Paul Thomas Anderson, 2014) e The Nice Guys (Shane Black, 2016).

thenicevice3Se Vizio di Forma appare, per indicazioni paratestuali (titolo, sceneggiatura non originale, Thomas Pynchon, Paul Thomas Anderson e Joaquin Phoenix), definito nella sua natura espressiva – a prescindere dal genere, dalla trama e dai toni è un prodotto autoriale destinato a un certo target – The Nice Guys, svincolato da ogni preventivo ammonimento, si offre come “semplice” prodotto di intrattenimento. Il film di Black, nonostante si occupi (a grandi linee) degli stessi argomenti e delle stesse suggestioni presenti in Vizio di Forma, dà vita a maggiori perplessità. I due film, infatti, pur possedendo gli stessi difetti di sviluppo e fluidità narrativi e i medesimi pregi compositivi legati all’accurata ricostruzione storica, sono diversamente recepiti. Mentre il secondo appare più debole e dozzinale, perché si posiziona sul solco della tradizione dei più popolari buddy movies, che in qualche modo ne ridimensionano la portata e i messaggi, il primo può fare affidamento su un filler – il romanzo Inherent Vice – in grado di livellarne ogni congenita imperfezione. In verità, però, ciò che di sofisticato c’è in Vizio di Forma non risiede nel suo specifico cinematografico, ma è parte costitutiva dell’opera di Pynchon. Di fatto si tratta di una trasposizione piuttosto pedissequa e didascalica, una copia periodo per periodo senza rilevanti variazioni. Diversamente, tutto ciò che si dà per scontato in The Nice Guys è, invero, piuttosto articolato e originale, a partire dalla peculiare comicità. Nella misura in cui The Nice Guys si oppone e rilegge i film da cui trae ispirazione, allestendo peraltro un discorso più chiaro e compiuto sulla relatività dei principi etici che disotterra e critica, Vizio di Forma arretra sulle sue possibilità adduttive, realizzando un film in cui, del testo di riferimento, si perde più di quel che si guadagna. La rilettura, quella straordinaria e acutissima che nel 2009 Pynchon fa degli anni Settanta – un trip dove tutto è già accaduto e che mette in evidenza l’inutilità e la frustrazione di ogni iniziativa, desiderio o speranza – nel film appare tanto schiacciata dall’invadente apparato estetico, quanto tradita dall’urgenza procedurale della narrazione filmica. A essere fortemente ridotta e semplificata è, insomma, la fondamentale sospensione psichedelica in cui fluttua il protagonista e che gli permette di raggiungere un nuovo stato di coscienza. Una sospensione ripresa e miniaturizzata da The Nice Guys – quando Ryan Gosling si addormenta al volante – che, paradossalmente, si rifà proprio all’universo onirico dell’Inherent Vice Di Pynchon. Insomma, quel che Anderson cerca, a fatica, di evocare con il suo film, Black lo essenzializza e inserisce all’interno del suo, facendone un’esilarante gag.

thenicevice4Comunque, a prescindere dalla resa più o meno efficace, i temi e i concetti che Vizio di Forma e The Nice Guys ci tengono ad analizzare, screditando il sistema di intuizione, comprensione e deduzione del contingente, sono i medesimi. I due film, infatti, mostrano attraverso un’onniscienza retroattiva e una desolante ironia – perlopiù avulsa dal sentire dei protagonisti, si ride “di” e non “con” – l’innocenza perduta degli Stati Uniti, un limbo in cui si muore per caso, si vive per niente e si sopravvive per errore, lasciandoti in cambio uno spietato e imperituro cinismo.

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