Culture invasion

Tra gli effetti più affascinanti dell’evoluzione cinematografica annovererei quello per cui una storia, per quanto già trattata o fedelmente riproposta, tradisce sempre una diversità che si esprime (anche) come critica revisionista. Ogni film, infatti, lascia un’impronta data dal peso della cultura in cui ha origine, impronta che può rivelarne i connotati fisici, estetici e ideologici. Accantonando gli ovvi ed evidenti aspetti tecnici – che permettono, più che altro, di datare e collocare un film – quello che mi preme osservare riguarda l’affastellamento culturale (i temi, le idee, gli approcci) su cui un film nasce e si edifica. Naturalmente, qualunque indagine che intenda rilevare i diversi substrati partendo dal prodotto (ri)finito è cosa ardua e passibile di errore, ma in alcune circostanze – specie quelle in cui l’intenzione è proprio quella di rielaborare una storia nota, come nel caso dei remake o delle parodie – è possibile identificare quegli elementi che fanno di un film apparentemente insignificante un punto di vista privilegiato per osservare l’attualità. Se per alcuni questo può rappresentare uno dei tanti approcci analitici, adatto a corredare i preminenti studi di trama e regia, per altri rappresenta la sola indagine utile…

Per la serie “filmetti che la dicono lunga” – da contrapporre ai “bei film che non aggiungono niente” – si possono citare gli ultimi due lavori di un regista controverso: The Green Inferno (Eli Roth, 213) e Knock Knock (Eli Roth, 2015). I film, pur appartenendo al genere horror, trattano ognuno un sottogenere diverso. Il primo è una sorta di remake del noto Cannibal Holocaust (Ruggero Deodato, 1980), film aderente al cannibal movie, filone d’origine italiana in voga tra gli anni Settanta e gli Ottanta; mentre il secondo, remake del thriller Death Game (Peter S. Traynor, 1977), fa parte di quello che viene definito home invasion. Seppur sensibilmente distinti – i cannibal movie hanno una caratura horror più ingente, in cui possono apparire sequenze pornografiche, snuff e splatter, mentre gli home invasion giocano sulla suspense e sono, in genere, meno espliciti – i due sottogeneri propongono un approccio uguale e contrario a un tema comune, quello dell’invasione. Se, solitamente, nel cannibal movie alcuni forestieri invadono il territorio primitivo e incontaminato di una tribù di indigeni, nell’home invasion degli estranei invadono l’abitazione di un gruppo unito, spesso familiare. A parità di intrusione, tuttavia, i ruoli appaioni ribaltati e se nell’home gli invasi rappresentano i “buoni”, nel cannibal sono gli invasori a esserlo. I protagonisti, in ogni caso, si configurano come quelli che hanno aderito a un preciso modello culturale, a un’idea di comunità sana e democratica che, però, a causa di un “peccato originale” da scontare, finiscono per essere attaccati e puniti dai dissidenti. Le ragioni dello scontro, a prescindere dal fatto che si tratti di un attacco o una difesa, sono sempre le stesse: proteggere, esibire e tacitamente imporre il proprio modello culturale.

Ora, che Eli Roth abbia scelto di realizzare questi due remake, prendendo le distanze dai film originali in maniera tanto oculata e, soprattutto, promuovendo in entrambi la stessa riflessione, mi sembra tutt’altro che casuale. Certamente si stratta di due divertissement, anche molto patinati e iperbolici, che hanno come primo scopo quello di scioccare e intrattenere il pubblico. Tuttavia, questo stesso proposito pare far leva non tanto sulle peripezie mostrate anche nei prodotti originali – che peraltro possedevano un taglio realistico e un clima fortemente drammatico – bensì sullo scarto esistente tra quei e questi film. Se The Green Inferno e Knock Knock mettono in scena la stessa vicenda raccontata in Cannibal Holocaust e Death Game, è anche vero che , diversamente dai secondi, criticano ironicamente le ragioni degli invasori e degli invasi, dileggiano chi aderisce e promuove determinati modelli culturali. In Cannibal Holocaust, alla fine, si intuisce quanto la crudeltà intellettuale degli esploratori sia eticamente più riprovevole di quella  rituale degli autoctoni. In The Green Inferno, invece, gli attivisti – ragazzini sprovveduti in cerca di avventura – sono solo degli analfabeti funzionali che passano in fretta dalla padella alla brace. Cannibal Holocaust turba, poiché l’ipocrisia camuffa la vera crudeltà dell’uomo, The Green Inferno diverte, perché dietro la stessa ipocrisia si annida invece l’idiozia. Il problema è che se non si è visto o non si conosce Cannibal Holocaust, The Green Inferno sembrerà solo un film ridicolo. Non è così.

Il caso di Knock Knock è forse ancora più emblematico. Nel film Eli Roth si prende parecchio tempo per presentarci una famiglia unita e felice e lo fa per una ragione ben precisa: più crediamo nella sua solidità, nell’autenticità di quei legami, più ci sembrerà irragionevolmente stupido il gesto del capofamiglia Evan/Keanu Reeves. E questo non solo perché Evan non si farà troppi scrupoli a mettere a rischio tutto quello in cui, all’inizio, sembrava credere, ma perché lo farà con un’ingenuità e una leggerezza imbarazzanti. Già il fatto di crearsi un simile nido, una prigione di vetro fatta per esibire il proprio credo isolandosi dalle tentazioni – che per sua sfortuna diviene il sito ideale per l’osservazione delle due malintenzionate – riferisce molto dell’ipocrisia con cui egli affronta la vita familiare. L’invasione, in Knock Knock, è un test che vuole mettere alla prova l’autenticità dei principi e degli affetti sui quali si fonda la famiglia e che, come in The Green Inferno, rivela solo una precarietà ideologica e un’adesione superficiale. Le due ragazze, infatti, non sembrano tanto minacciare l’incolumità fisica dell’uomo – e quando lo fanno è una mera provocazione – quanto la sua immagine pubblica (e l’epilogo ne è una divertente dimostrazione). In entrambi i film Roth propone alcune sequenze, apparentemente gratuite, che sembrano voler condannare e ridicolizzare i principi e le scelte di vita dei protagonisti. Se in The Green Inferno la vegana affamata viene nutrita dagli indigeni non solo con della carne, ma con le spoglie del suo stesso fidanzato, in Knock Knock Bel/Ana de Armas stupra Evan travestita da sua figlia, simulando un incesto. I due film, perciò, fanno leva sugli istinti più bassi dei personaggi affinché infrangano i loro stessi tabù, ma lo fanno mantenendo una logica strettamente diegetica che scopriremo in seguito (lo stupro viene filmato e usato per secondi fini, la nutrizione dei prigionieri serve precisamente a ingrassarli).

Il messaggio dei due film, come già suggerito, non si palesa unicamente su un’autonomia testuale, ma anche e soprattutto attraverso rapporto che i testi intrattengono con i film originali, con i generi di riferimento, con l’immaginario collettivo. I primi home invasion nascevano dall’esigenza di promuovere e difendere il modello virtuoso della famiglia, che finiva sempre per aver la meglio, anche senza ricorrere alla violenza. Successivamente – specie negli anni Settanta – gli home invasion hanno cominciato a mostrare che l’atto criminale dell’invasore potesse in realtà smascherare la feroce crudeltà dell’invaso. Più recentemente, nell’home invasion è diventato facile imbattersi in invasori che non sono più autentici villain o criminali di professione, ma giovani annoiati, soggetti alienati, o oppressi legittimati mentre, per contro, gli invasi appaiono come dei veri fessi. Naturalmente le variazioni intercorse non si sono solo scalzate, bensì accumulate nel tempo, cosicché la cinematografia attuale può offrire una moltitudine di prodotti distinti e spesso ibridi. Di conseguenza, se alcuni film sembrano esibire un plot scadente, riciclato o minimale, ciò può capitare perché il contenuto non è formalizzato su un genere cinematografico, aspirando all’imprevedibilità narrativa, all’efficacia compositiva o all’originalità discorsiva, ma perché magari preferisce costruire il suo significato sul rapporto che il cinema intrattiene con gli spettatori e quindi in relazione ad altri prodotti culturali e a conoscenze pregresse. The Green Inferno e Knock Knock esprimono esattamente questa tendenza. Di nuovo c’è solo un tentativo di aggiornamento, un lavoro di ricontestualizzazione e l’ombra del presente, che qualche volta possono anche bastare…

2 Commenti su Culture invasion

  1. Emme
    9 Aprile 2016 at 14:17 (8 anni ago)

    Non c’entra in effetti un cazzo, se non marginalmente, ma se ti capita (e se già non l’hai fatto) dai un’occhiata a Aftershock, film estremamente elirothiano, anche se diretto da un regista che boh. Molto divertente.

  2. Marienbad
    9 Aprile 2016 at 14:29 (8 anni ago)

    L’avevo intercettato tempo fa e avevo rimandato la visione a… mai (benedetta memoria). L’idea mi pare buona, anche se su imdb il voto lascia parecchio a desiderare. Quindi sì, lo vedrò!