Music movies. Quanto è (im)portante la musica nel cinema?

moviemusic4Qualche giorno fa un’amica mi ha girato uno stralcio di intervista, riportata dal quotidiano Repubblica in occasione della 17° edizione del Far East Film Festival, nella quale il compositore giapponese Joe Hisaishi – noto per le colonne sonore di alcuni capolavori di Takeshi Kitano e dei film d’animazione dello Studio Ghibli – affermava qualcosa che condivido e sostengo da sempre. L’osservazione fatta da Hisaishi riguardava il ruolo che la musica possiede all’interno di un film, un ruolo che – il più delle volte – tende a fondersi e confondersi con le innumerevoli configurazioni comunicative appartenenti al medium cinema, nonostante l’identità peculiare e distinta che, in questo ambito, essa possiede.

Considero la musica la parte più romanzata di un film. Intendo dire che nel mondo reale non è possibile ascoltare musica mentre si parla d’amore o quando si è tristi, mentre è quello che accade in un film. La musica è la cosa più falsa che troviamo in un film, proprio per questo è l’elemento più cinematografico di un film.

moviemusic1Il ruolo della musica nel cinema (e negli audiovisivi in genere) è difforme rispetto a quello che, di solito, è chiamata a svolgere nella vita di tutti i giorni. Il suo ruolo è, infatti, relazionato e composito, cioè a servizio di un preciso compito comunicativo. Anche quando è diegetica la musica sembra rifiutarsi di ricalcare il reale, tendendo invece a forzarlo, snaturando lo spaziotempo ripreso che viene ridefinito nel baricentro comunicativo e nel clima emotivo. Una sequenza senza musica è una sequenza che esprime ciò che mostra, mentre in una scena musicata il pezzo ha il potere di influenzare – anche notevolmente – il significato della composizione visiva.

In genere la musica resta a servizio di un compito abbastanza banale, specie nella produzione mainstream statunitense, il cui uso appare fortemente codificato in base ai generi e alle situazioni narrative messi in scena. Tuttavia, non è solo nel cinema indipendente e nella video-arte che è possibile trovare alcune interessanti variazioni d’uso. Naturalmente ogni cinematografia nazionale ha, nel tempo, consolidato i propri metodi d’impiego della musica, stabilendo alcuni modelli acustico-cinematografici abbastanza riconoscibili, ma le variazioni nell’approccio possono dirsi infinitamente variegate. Non stupisce, comunque, che un’osservazione così puntuale e acuta arrivi dall’estremo oriente, proprio lì dove – è il caso di dirlo – la musica cinematografica riveste un ruolo di primaria importanza.

Per capirci mi sembra doveroso fare una prima sommaria ripartizione. La musica nel cinema può essere distinta in tre generiche classi d’impiego: 1- la musica che accompagna le immagini (subordinata alle immagini); 2- la musica che sottolinea le immagini (ha un rapporto paritario con le immagini); 3- la musica che altera le immagini (conduce le immagini). moviemusic2A seconda dei casi essa assume una presenza che va dalla quasi impercettibilità a una vera e propria situazione di appariscenza uditiva. In modo inversamente proporzionale, inoltre, più la musica è inavvertibile e tende a fondersi con il resto del marasma espressivo, meno ha potere evocativo. La musica diegetica, per esempio, è quanto ci sia di meno emozionante e comunicativo nel cinema e resta un dato informativo puro e semplice. Nei film dedicati ai musicisti, mostrare una performance nuda e cruda, quindi priva di un qualche intervento di natura cinematografico-compositiva, spesso restituisce un’indicazione prosaica di poco interesse. Diverso è il caso in cui la musica assume ruoli più chiari e autonomi, in cui è possibile raggiungere stati di astrazione avanzati. Una musica che sottolinea le immagini è una musica capace di allinearsi con le informazioni metaforiche del testo filmico. La musica extradiegetica, nella maggior parte dei casi, tenta di agire in questo modo, sviscerando  e amplificando il  peso emotivo della scena. Purtroppo non sempre riesce nell’intento configurandosi al pari di una musica diegetica proveniente da un qualsiasi punto cieco, o meglio, sordo. L’ultimo caso è quello in cui, guardando un film, si avverte la chiara esigenza e volontà da parte degli autori – che di solito sono appassionati quando non veri e propri professionisti – di assegnare alla musica un ruolo di grande rilevanza. In situazioni di questo tipo la musica non si limita ad accompagnare o sottolineare una o più sequenze, ma arriva ad assegnarne una chiave di lettura e a dirottarne il senso, fino a imporsi sulle immagini, sul montaggio e sull’interpretazione dei personaggi. Un uso di questo tipo lo si può trovare in diversi film di Stanley Kubrick, che della musica strumentale ha fatto un mezzo manipolatorio e suggestivo fuori dal comune, nei film di Sergio Leone, che con la collaborazione di Ennio Morricone ha prodotto un’originale “variazione sul tema” estetico del western, ma anche nei film del musicofilo Cameron Crowe, in cui le scelte sonore arrivano a condizionare le strutture visive della narrazione. Crowe peraltro, come pochissimi altri registi, è in grado di gestire l’inafferrabilità della musica domandone alcuni atteggiamenti espressivi. In Quasi Famosi (Almost Famous, 2000), ad esempio, riesce nella difficile impresa di influenzare il tessuto narrativo rendendolo trascendente, pur nel suo evidente realismo, attraverso l’uso di un pezzo diegetico capace di divenire extradiegetico e potentemente evocativo ben prima di scivolare via dalla realtà ripresa. Naturalmente mi riferisco alla sequenza del bus sulle note di Tiny Dancer…

moviemusic3Nel cinema orientale, e special modo in quello giapponese, la musica extradiegetica più che a sostenere le sfumature del metatesto tende a fare un ulteriore passo verso la trascendenza allineandosi su un unico e coerente tema lirico. A differenza delle scelte effettuate per la maggior parte del cinema occidentale, che si focalizzano sulle singole scene, gli orientali prediligono un uso onnicomprensivo, capace di confezionare sonoricamente un intero film, attribuendo alla musica una funzione quasi teleologica.

In quest’ottica le parole di Hisaishi non possono che risultare condivisibili. La musica, rispetto alle immagini, compie sempre – quando più quando meno – un atto di sofisticazione e, in questo senso, è sicuramente falsa. Eppure, nella sua falsità, tradisce solo un aspetto di ciò che si trova nel cinema, che è il realismo, appellandosi piuttosto a quello che le immagini aspirano, alle loro pulsioni più intime. La musica, dimostrandosi intrinsecamente capace di scendere a patti con la realtà, è con tutta probabilità quanto di più cinematografico ci sia in un film.

Poi c’è il musical, ma questa è un’altra storia (cit.)

Le repliche sono terminate.