The Age of Adaline: alla scoperta del tempo vissuto

ageofnovember1Ho un debole per i film che, in un modo o nell’altro, si occupano del tempo. Che se ne faccia un furbo escamotage narrativo o una raffinata strategia rappresentativa, l’indagine cinematografica sulla natura e gli effetti del tempo possiede, per me, un fascino inesauribile. Trovo che il cinema, più di ogni altro medium, sia capace di riferire del tempo la traccia del suo movimento (oggettivo e percepito), le cause e gli effetti della sua persistenza e le fatalità del suo procedere. Il tempo conferisce significato a ciò che nello spazio si muove, o non si muove, e chiunque sia dotato di una coscienza sa che esso, anche volendo, non può essere ignorato. Se in gioventù si è in diritto di perdere tempo, poiché esperire è una priorità a cui va dedicata ogni energia, in età adulta si impara, in maniera più o meno goffa, a organizzarlo in virtù delle proprie maturate credenze ed esigenze. Eppure non sembrano pochi quelli che, con la senilità, si crucciano per aver dedicato tempo alle cose sbagliate e che potendo tornare indietro…

La capacità di organizzare il tempo rappresenta un vantaggio che il cinema, in un solo paio d’ore, è in grado di sfruttare con enorme profitto. Paradossalmente però, le innumerevoli storie raccontate – non solo di finzione – sembrano suggerire che i benefici maggiori si ottengono quando il destino inibisce ogni tentativo di controllo sul tempo. Sia possedendo tempo, sia non avendone abbastanza, il risultato non cambia: siamo destinati a una testa piena di scadenze e ricordi e un pugno di mosche in mano. Allegria.

ageofnovember2Qualche sera fa ho recuperato The Age of Adaline (Lee Toland Krieger, 2015), pellicola uscita questa primavera senza aver suscitato particolare interesse. Il film narra le peripezie di Adaline, una giovane donna che, a causa di un bizzarro incidente, si trova a vivere senza dover affrontare i limiti fisici e psichici imposti dalla mortalità. Adaline non solo non invecchia di un giorno, mostrando i segni di una bellezza scompigliata solo dalle mode che si avvicendano una dopo l’altra, ma vive questa condizione senza trarne alcun beneficio. Adaline ha dovuto fare parecchie rinunce, compresa la sua identità, ricorrendo a documenti falsi e a spostamenti occasionali solo per mantenere il suo segreto e godersi la libertà. Tutti i suoi sforzi, tuttavia, non le restituiscono una vita normale poiché, oltre a non poter stringere legami duraturi con le persone – frustrazione che aggira riversando il suo amore sugli animali domestici e gli oggetti – è obbligata ad assistere all’invecchiamento e alla dipartita di tutti i suoi affetti. L’esperienza permetterà alla donna di affinare l’arte dell’organizzazione temporale, dandole l’illusione del controllo.

Durante la visione non ho potuto fare a meno di pensare a un altro film, rivisto casualmente il giorno prima. Si tratta di Sweet November (Pat O’Connor, 2001), remake patinato e strappalacrime di un film di fine anni Sessanta. Sweet November racconta la storia di Nelson, un fascinoso yuppie che, un bel giorno, incontra la bellissima e vivace Sara, con la quale si trova a stipulare una scommessa, trasferirsi da lei e rinunciare alla propria frenetica vita per trenta giorni, il mese di Novembre. La joie de vivre di Sara, che presto contagerà Nelson fino a farlo capitolare, nasconde però un tragico segreto: la donna è gravemente malata e le resta poco da vivere. Come The Age of Adaline, Sweet November racconta la sofferenza e la voglia di vivere provate da una giovane donna, all’apice della sua bellezza, costretta a fare i conti con il tempo senza che il tempo possa effettivamente influire sul suo aspetto. Sia Adaline sia Sara, con il loro occhi cristallini e i sorrisi luminosi, incarnano un’innocenza che in realtà hanno perduto, mentre covano all’ombra dei loro corpi disfunzionali il dolore e la rassegnazione per una vita sterile. La missione, per entrambe, è la condivisione della saggezza dovuta a una senescenza fuori sincrono, maturata grazie alle esperienze vissute o non potute vivere. A differire, invece, è la quantità di tempo a loro disposizione. Se per Adaline il tempo è potenzialmente infinito, per Sara è brevissimo, anche se entrambi gli epiloghi tenderanno a trasfigurare le due condizioni a causa di un destino incontrollabile che può, e solo lui, riequilibrare i ritmi dell’esistenza.

ageofnovember3Ora. Ciò che ho trovato interessante in questi due film (più nel film di Krieger che in quello di O’Connor) è la gestione strategica del tempo narrativo e l’uso della simbologia legata al tempo. In Sweet November l’andamento della storia è piuttosto concentrato. Gli eventi si susseguono speditamente e la macchina da presa tende a non cedere al “pietismo scopico” anche quando le circostanze diventano piuttosto tragiche. Il montaggio, quindi, mantiene un certo brio offrendo, in linea con l’atteggiamento della protagonista, una coerenza risoluta e propositiva. Si tratta di uno dei pregi del film che, pur narrando la triste storia dal punto di vista angosciato di Nelson, ci restituisce il disorientamento dell’uomo opponendogli, anche attraverso la regia, lo slancio vitale di Sara. Ne risulta un dramma tutt’altro che lagnoso e dignitosamente reattivo (tant’è che Sara, invece di morire di fronte agli occhi nostri e quelli di Nelson, scompare così com’è arrivata).

La costruzione di The Age of Adaline, però, appare più articolata e coinvolgente. Mentre la narrazione assume un andamento elegante, scandito da una regia contemplativa in cui i dettagli, che arredano ogni sequenza, possiedono un importante valore informativo e affettivo (come i libri, le fotografie, gli abiti che sono o ambiscono a divenire cimeli di famiglia), i riferimenti metatestuali (sia nella veste di simboli, sia in quella di citazioni) intervengono a ricreare le diverse e lontane atmosfere d’epoca. Di conseguenza, oltre alla dilatazione prodotta dalla specifica modalità narrativa, si avverte una dilatazione “verticale” dovuta all’evocazione e integrazione del passato storico. In queste sequenze, in cui la Storia sembra incontrarsi con la storia, si apprezza poi l’abile incastro dei flashback che, realizzando ponti tra presente e passato, estendono afflato epico della vicenda.

ageofnovember4Il film ha dunque il merito far confluire la realtà (quella relativa alla produzione culturale d’epoca come i libri e i cinegiornali) e la finzione (la storia personale della protagonista) in un unico e ingombrante passato che Adaline tenta di archiviare in bauli sempre più grandi e in una memoria sempre più labile. A confermarlo è quella sequenza iniziale in cui una plongée ci mostra Adaline intenta a osservare vecchie fotografie mentre degusta una tazza di tè e una madeleine. Diversamente dalla suggestione proustiana, in cui il protagonista nel recuperare inconsciamente un ricordo smette per un fugace attimo di sentirsi “mediocre, contingente, mortale”, Adaline si sforza consciamente di riesumare quel breve momento della sua vita in cui è stata provvisoria, umana. A regolare i conti, anche qui, interverrà il destino che, rimettendo il passato di fronte ad Adaline, le confermerà non solo che non può avere il controllo sul tempo, ma che non l’ha mai avuto. Diversamente da Sweet November, in cui Sara accetta il suo destino fuggendo altrove, Adaline sceglie per la prima volta di restare, almeno fino quando il destino lo riterrà opportuno.

Anche se determinate scelte possono sembrare casuali o poco incisive, la verità è che entrambi i film si pongono, rispetto al tempo narrativo, narrato e relativo alla vita delle due protagoniste, in maniera netta e precisa, frutto di una riflessione ragionata sulla ricezione da parte dello spettatore della durata dei film, delle loro storie e delle vite in gioco.

Le repliche sono terminate.