The Hateful Eight e il dilemma della visione

Per potersi occupare di The Hateful Eight (Quentin Tarantino, 2015) bisogna vederlo, e per poterlo vedere bisogna recarsi in sala. Già, ma quale? Come noto, l’ottavo film di Quentin Tarantino è uscito in due versioni distinte: una analogica – raccomandata dall’autore –  realizzata in pellicola 70mm Ultra Panavison e proiettata nelle sole tre sale italiane attrezzate, e una digitale, distribuita in tutti i circuiti e proiettata, a seconda della disponibilità, in 2k (risoluzione 2048×1080 pixel) o  in 4k (risoluzione 4096×2160 pixel). Optare per una versione o per l’altra può dipendere sia dall’entità dell’interesse (non a tutti importa di formati e resa visiva), sia dai gusti (spetta solo a chi conosce le differenze la discriminazione tra digitale e analogico) e sia di comodo (anche agli interessati e agli esperti tocca soccombere ai limiti imposti dalle distanze fisiche e dalla disponibilità economica). Ma tralasciando le ragioni della scelta (o della non scelta), il giudizio sul prodotto potrà prescindere dalle circostanze della fruizione?

Il “glorioso” 70mm

Questo grande formato di pellicola (in realtà di 65mm), costosissimo e raramente utilizzato, in passato è stato adottato per una manciata di film – Ben Hur (William Wyler, 1959), Lawrence d’Arabia (David Lean, 1962), 2001: Odissea nello spazio (Stanley Kubrick, 1968) – con l’intenzione di conferire, in un’epoca in cui lo standard era il più “modesto” 35mm, maggior respiro all’inquadratura e maggior definizione ai campi lunghi e lunghissimi, e recuperato più recentemente per mere questioni di marketing o operazioni nostalgiche – Hamlet (Kenneth Branagh, 1996), The Master (Paul Thomas Anderson, 2012) – giustificate da una “necessaria” ricercatezza scenografica. In altre occasioni continua a essere usato, in abbinamento agli effetti speciali, per la messa a punto di particolari sequenze – tutti i film di Christopher Nolan e Terrence Malick dal 2005 in poi.

Inutile addentrarsi nelle più sottili differenze tra il Super Panavision 70, il Todd-AO e il Panavision System 65, ciò che importa ai fini della discussione è che The Hateful Eight è stato girato in Ultra Panavision 70, il cui impiego di lenti anamorfiche 1.25x ha comportato un aspect ratio pari a 2,76:1, ovvero una larghezza d’immagine e una capienza informativa del campo tra le più ampie in circolazione.  Tuttavia, per godere al meglio lo spettacolo converrà comunque tener conto delle dimensioni dello schermo perché, per godere appieno l’effetto “inglobante” del particolare formato, la visione richiederà una dimensione di almeno mt 20 di larghezza, in caso contrario la percezione del campo sarà solamente e banalmente “più lunga e meno chiara”. Meglio ancora se il rapporto tra larghezza e altezza dello schermo corrisponderà al formato della proiezione (2,76:1) onde evitare l’effetto letterbox e/o un ulteriore ridimensionamento dell’immagine.

Come affermato in precedenza, le proiezioni in 70mm sono state approntate in sole tre sale italiane: presso il cinema Arcadia di Melzo, presso il teatro 5 di Cinecittà e presso il cinema Lumiere della Cineteca di Bologna. Tenendo conto del fatto che lo schermo curvo della “sala Energia” dell’Arcadia ha una dimensione di mt 30,00×16,50, e che la proiezione in 70mm avrà coperto una porzione pari a mt 30,00×10,87 c.ca, ciò significa che l’immagine sarà stata contraddistinta dalle classiche bande nere, una inferiore e una superiore, pur mantenendo una grandezza e una definizione ottimali. Diversamente, il teatro 5 di Cinecittà (allestito appositamente per l’evento) ha potuto contare su uno schermo scope di mt 21,00×8,00, garantendo una copertura quasi totale e un’assenza di bande (mt 21,00×7,61 c.ca). Infine, la “sala Officinema/Mastroianni” della Cineteca di Bologna – in cui personalmente ho affrontato la visione – già penalizzata dal piccolissimo schermo e non potendo avvalersi dei suoi mt 10,00×3,00 (il 70 mm, per sfruttare l’intera lunghezza dello schermo, ne avrebbe richiesti mt 10,00×3,62 c.ca), è stata costretta a ripiegare su un’immagine non più abbondante di mt 8,28×3,00 c.ca – meno in realtà, dal momento che lo schermo presentava inoltre una banda nera sul lato inferiore – un ridimensionamento quantomeno sensibile, inadatto a restituire la qualità analogica del 70mm.

Digital Cinema Package (DCP)

Il digital cinema package non è altro che l’insieme di file di lettura (audio, video e dati) di un prodotto cinematografico, al quale si giunge dopo una serie di procedimenti produttivi e/o post-produttivi. The Hateful Eight, girato in pellicola, si è avvalso del digital intermediate process (DI), un procedimento di acquisizione digitale all’interno di una workstation in grado di eseguire la più complessa manipolazione delle immagini così da ottenerne una versione ottimizzata. Nel caso di The Hateful Eight, il procedimento ha influito positivamente sulla resa fotografica conferendo all’immagine un aspetto “pieno e caldo”, molto simile a quello offerto dalla sua controparte analogica, ma decisamente più nitido. Ciò significa che se si avrà la possibilità di godere il film in DCP 4k – a me è successo, per puro caso, presso la grande sala 6 del multisala The Space Cinema di Firenze – allora l’esperienza sarà totalizzante e potranno essere rilevati tutti i pregi dell’ottimo lavoro di digitalizzazione.

70mm Vs DCP

Alla luce di quanto riportato è forse possibile affrontare la scelta con qualche accortezza in più. Tuttavia, aldilà di questi dati che interessano soprattutto la tipologia di supporto e le modalità di proiezione, la versione in pellicola e quella in DCP si differenziano per alcune caratteristiche che riguardano il contenuto del film. Il formato, come già suggerito, influisce sia sulla dimensione del campo e la sua ricezione – più esteso per la pellicola, più compatto (presumibilmente un 2.39:1) per il DCP – sia sulla definizione dell’immagine – più morbida e tridimensionale per la pellicola, più definita e patinata per il DCP. Che cosa cambi in termini di visione è presto detto. L’uso della pellicola in 70mm permette una cattura del profilmico più ampia e dettagliata (si parla di una definizione sei volte maggiore rispetto al 35mm), ciò significa che lo spettatore potrà godere un’immagine altamente “informativa”, dalla resa realistica, non solo per tutto ciò che riguarda i colori, le luci, le distanze, la tridimensionalità di oggetti e personaggi, ma anche rispetto a ciò che avverrà in zone del campo solitamente inaccessibili o indistinguibili (periferiche e in profondità). Per questa ragione una buona stampa e una buona proiezione in 70mm potrebbero garantire allo spettatore un’appagante esperienza cinematografica, specie nei casi in cui l’uso del 70mm rispondesse alla necessità di mostrare panorami sconfinati, location incantevoli e scenari caratteristici. In questo senso The Hateful Eight può dirsi un caso atipico perché, se si escludono poche scene iniziali, il film è stato realizzato interamente in interni. Il motivo della scelta potrebbe dipendere dal desiderio di Tarantino di “raccontare” lo spazio – quello compreso nell’emporio di Minnie – assegnandogli un ruolo cruciale nell’evoluzione dei rapporti tra i personaggi, orchestrando i loro interventi come se calcassero un palcoscenico teatrale. Lo si percepisce non solo dalla loro dislocazione, dai loro spostamenti e dalla loro uscita/entrata in scena, che la macchina da presa  osserva e segue perlopiù pedissequamente – emulando l’occhio dello spettatore a teatro, più libero di spaziare nello scenario, ma comunque prigioniero dello spazio scenico e incline a dedicare l’attenzione ai focolai della comunicazione – ma lo si evince anche dall’allestimento dei monologhi e dei dialoghi, in cui ogni battuta è pronunciata in una sorta di immobilismo solenne e coreografico. Pertanto la maggiore estensione in larghezza, accogliendo in campo maggior spazio e maggiori informazioni circa la posizione e il ruolo degli esistenti, concorre sia a tener traccia dell’intera scacchiera, sia a conferire ambiguità alle inquadrature, un’ambiguità con cui nemmeno il fuoricampo sembra poter competere.

Così spiegato sembrerebbe andare tutto a favore della versione in 70mm, ma la verità è che, nell’ottica di una siffatta resa, l’aspect ratio di 2,39:1 – quello esibito nella versione DCP – si rivela più che sufficiente. L’effetto teatrale, al cinema, ha a che fare più con la costruzione e perlustrazione degli spazi che con la dilatazione dello spazio (visivo) e l’assetto scenico sarebbe stato sfruttato meglio se limitato alla sua dimensione simbolica anziché conformato a quella fisica. Resta infine aperta la questione del dettaglio dell’immagine, senza dubbio rilevante, che nel caso della sala pesa ben più dell’accaparrarsi un buon posto a teatro. Vedere meglio può aiutare a distinguere – anche se non per forza a capire – i reali misteri di The Hateful Eight, poiché indicazioni preziose sulla natura del testo filmico risiedono proprio nei dettagli della scena più che nei dialoghi (qui quasi tutti ingannevoli). Di conseguenza una maggior definizione risulterà più che gradita e, per quanto apprezzabile, tutto ciò che Tarantino ha cercato di ottenere dalla pellicola – dettaglio, corposità, contrasto, calore dell’immagine – l’ha conseguito attraverso il digital intermediate

Infine restano da segnalare le differenze oggettive che passano tra le due versioni ma che – va detto – non influiscono in alcun modo sulla ricezione del film o la comprensione della diegesi. La versione in pellicola dura c.ca 20 minuti in più rispetto alla versione digitale (167 min contro 187 min), questo perché contiene un overture, un intermezzo di 12 minuti (entrambi musicati da Ennio Morricone) e un paio di scene aggiuntive. Se l’intermezzo funziona come pausa diegetica in un’opera raccontata perlopiù in tempo reale – non a caso il film riparte dopo la pausa con la voce off che ci comunica che sono trascorsi 15 minuti – l’assenza del break tradizionale non può certo minare la comprensione di una semplicissima ellissi.

Conclusioni

Insomma, che si tratti di un rispettabile esperimento autoriale – teso a riavvicinare il pubblico alla “povera e onesta” pellicola – o di una bieca e maldestra operazione di marketing – tesa a scucire il doppio dalle tasche di ogni fan – poco importa, soprattutto per coloro che, alla fine, sceglieranno di guardare il film sullo schermo di uno smartphone o di un laptop, perché in qualunque maniera lo si veda The Hateful Eight resta un film…

Le repliche sono terminate.