Whiplash: una favola per tutti. O quasi…

whiplash1Che cosa conta, davvero, affinché un film funzioni? In realtà potrebbe trattarsi di qualunque cosa. Ogni film può convincere lo spettatore ad accettare le modalità e gli effetti della sua peculiare esposizione dei fatti, ma solo se appare saldo nel messaggio che tenta di portare avanti. Per questa ragione, poco importa se l’argomento trattato è serio o meno, se il tono è colto o demenziale, se il film è di genere o dal taglio documentaristico, ciò che conta è una certa fermezza di intenti. Se alla base del film sussiste un’idea precisa, che magari viene espressa anche con una buona dose di originalità, quel film funzionerà.

Uno degli errori più frequenti, quando ci si occupa di cinema, è quello in cui si tenta di stabilire se un film sia “bello” o “brutto”, interessante o meno, migliore o peggiore di un altro, secondo uno o più parametri esterni al film stesso. Questi parametri possono essere di vario genere e sono prodotti dal classico – e insondabile – gusto personale, fino a raggiungere le più raffinate perizie socioculturali. La produzione critica che orbita attorno a questi parametri può essere affascinante, divertente, e spesso molto più redditizia (in termini di scambio) del semplice atto analitico in cui si tenta di “uscire da se stessi” per valutare un oggetto, ma rappresenta una produzione, in parte, fuorviata e fuorviante. Certo, poi bisognerebbe distinguere tra un fuorviante gradevole, capace di stimolare l’interesse e generare altra creatività, e un fuorviante avvilente, che tende invece a svuotare gli oggetti presi in esame con l’unico obiettivo di etichettarli e accantonarli per sempre. Questo secondo approccio, per fare un esempio, è quello che in questi giorni ha visto come protagonisti il film Whiplash (D. Chazelle, 2014) e il noto critico Goffredo Fofi.

A mio avviso, un buon modo per valutare un film è quello di tentare di capire in che modo esso persegue il suo obiettivo comunicativo, cioè cosa vuole dire, come lo dice e se riesce a dirlo. Niente di più semplice perchè, nella maggior parte dei casi, queste informazioni non risiedono nell’iperuranio, ma dentro il film. Basta avere spirito d’osservazione, prestare attenzione e magari possedere un buon bagaglio culturale (che serve sempre se ci si vuole muovere tra la caotica e sconfinata produzione culturale). E’ senz’altro vero che i film riflettono i contesti spaziali e temporali in cui hanno vita, producendo una buona dose di informazioni accessorie, ma si tratta di informazioni – specie se siamo di fronte a un prodotto attuale – non difficili da catalogare e valutare per quello che sono. L’impresa è più ardua se il film è molto datato, a causa della difficoltà di accedere immediatamente a contesti di riferimento lontani nel tempo, ma con un piccolo sforzo tutto è possibile.

whiplash2Whiplash  è un film semplice proprio perchè è inequivocabilmente esplicito sul suo messaggio, anche se ha l’“ardire” di occuparsi, tra le altre cose, di musica jazz, che non è proprio alla portata di tutti. Chazelle, però, si serve del jazz in maniera trasversale, ne sfrutta l’imprevedibilità sonora rapportandola al sistema di emozioni, situazioni ed evoluzioni che fanno la storia del film. Sceglie quindi un genere musicale di nicchia, poco accessibile e generalmente fraintendibile, per orchestrare l’ambiguità di ruoli e situazioni, mettendo insieme una vicenda dove è difficile stabilire chi sia il buono e il cattivo, chi abbia torto e chi ragione, chi sia bravo e chi schiappa, ma in cui evidentemente – e grazie a forme di tenacia fuori dal comune – si creano i nuovi punti di riferimento. Dopotutto la musica jazz origina proprio in questo modo: il jazzista matura un’esperienza nell’improvvisazione e nella ricerca che, alla fine, compongono una nuova ma riconoscibile identità sonora. Whiplash si comporta alla stessa maniera. I personaggi mettono alla prova gli altri e se stessi infliggendo/si duri colpi (di batteria), ma anche scontrandosi attraverso le parole, le idee, le scelte di vita, indagati da una macchina da presa invadente, che pare non volersi perdere nemmeno un dettaglio, grazie anche a un montaggio – giustamente premiato con l’Oscar – capace di scandire perfettamente i furiosi ritmi delle lotte, ma anche la loro dinamica imprevedibilità. Alla fine, quasi stremati, si arriva alla vera resa dei conti, quella in cui o ci si fa da parte, decidendo di optare per un placido ordinario, o si sceglie di mettere a rischio la propria dignità (quando non anche la vita) per guadagnarsi un proprio spazio (nella famiglia, nell’orchestra, nella società, nel mondo, fate un po’ voi). Uno degli aspetti formidabili di Whiplash è che il finale – atipico e intensissimo – è introdotto con grande abilità narrativa. Tutta la parte precedente, infatti, mette in scena più una sequela di estenuanti prove che un vero e proprio sviluppo narrativo (tanto da apparire inizialmente debole e slegata), mentre il finale sembra organizzato come un nuovo e piccolo film, un cortometraggio a se stante. Da solo, infatti, fa storia, possiede un’introduzione, uno svolgimento e un finale, che restano in qualche modo estranei e sospesi (la situazione, l’ambientazione, l’illuminazione, i ritmi, la colonna sonora si staccano dal resto come se fossimo in un sogno), pur restando ancorati alla realtà raccontata. Tutto ci ricorda qualcosa di indefinito a cui abbiamo già assistito, ma ora ne afferriamo i significati, la potenza, la portata innovativa, fino a riuscire a individuarne l’armonia e la compiutezza. Il film, in pratica, è una lunga preparazione al finale, in cui ci viene insegnato come apprezzarne ogni sfumatura. Esso stabilisce i suoi parametri, in maniera netta e diretta, per poi consegnarci, alla fine, un prodotto singolare e molto suggestivo.

whiplash3Whiplash – sostiene Fofi dalle pagine dell’Internazionale – è un’americanata per “gonzi di destra” che racconta l’eterna “lotta per diventare qualcuno, per emergere, nella distinzione mostruosa che quella cultura fa tra winner e losers”. Per quanto il suo commento potrebbe, al massimo, creare un certo imbarazzo tra i gonzi di sinistra, di centro e di sbieco che hanno “incomprensibilmente” apprezzato il film, mi sembra giusto rilevare che, in effetti, Whiplash potrebbe non essere un film “per tutti”…

Le repliche sono terminate.