10 Cloverfield Lane: B-movie 2.0

10cl1Da che esistono, i B-movie riscuotono successo quando si avvalgono delle più “subdole” strategie di vendita. Prima, durante e dopo la fase produttiva, esse agganciano i pubblici facendo leva, più che sul “modesto” apparato testuale del film (soggetto, scenografia, effetti speciali e cast tecnico e artistico), sul suo corpus paratestuale (titolazioni, trailer, immagini di scena e riferimenti all’immaginario), organizzando uno spettacolo chiaro e coerente, anche quando tradisce il “buon gusto” dello spettatore più raffinato. Si tratta di film, per quanto sgangherati, onesti e godibili, capaci di rispondere precisamente alle richieste basic dell’intrattenimento. Un B-movie nasce come prodotto low budget che rivela la sua natura nella generale mancanza di pretenziosità, la cui missione originaria pare non tanto quella di voler raccontare storie e proporre letture, ma di semplificarle, scardinarle e deformarle in un’ambizione primariamente ludica. Tuttavia, le strategie adottate per la confezione e diffusione dei B-movie hanno, nel tempo, incontrato le medesime difficoltà affrontate dal cinema mainstream e sono state costrette a evolversi per far fronte alle richieste dei nuovi e sempre più smaliziati pubblici di nicchia. Allo stato attuale, infatti, non sembra più bastare il ricorso alle tematiche e alle immagini “scottanti”, ma pare necessario coinvolgere lo spettatore a più livelli, integrando testi altri, accumulando significati e garantendo un certo margine di originalità, dietro  ai quali sempre più spesso aleggiano i fantasmi della grande produzione, consapevoli che anche il più piccolo film – grazie alla diffusione digitale di massa – possiede un pubblico potenzialmente in crescita. Per fare qualche esempio si potrebbero citare i recenti It Follows (David Robert Mitchell, 2014), Dope (Rick Famuyiwa, 2015), Unfriended (Levan Gabriadze, 2015), The Gift (Joel Edgerton, 2015), The Witch (Robert Eggers, 2015) e Hardcore! (Ilya Naishuller, 2016), film ideati a basso budget, inglobati dal mercato, che sono presto diventati cult ad alto rendimento.

10cl2Tra i casi più emblematici va però citato 10 Cloverfield Lane (Dan Trachtenberg, 2016), prodotto dai solidi ingranaggi interni in movimento lungo i più collaudati percorsi esterni. Inizialmente lo script di 10 Cloverfield Lane riporta il titolo The Cellar e narra una vicenda di rapimento e reclusione – si presuppone non avesse nulla a che vedere non solo con il film Cloverfield (Matt Reeves, 2008), ma nemmeno con il genere fantascientifico. Quella di The Cellar è una sceneggiatura ben scritta e coinvolgente, tanto da attirare l’interesse della Bad Robot e del produttore J.J. Abrams, che la acquista senza battere ciglio. A questo punto la storia viene rimaneggiata da Damien Chazelle, ri-intitolata Valencia e contestualizzata nell’universo Cloverfield, divenendone uno spin-off sotto copertura. Vengono quindi messi insieme una storia (sulla carta) efficace, un franchise di successo, un cast di volti noti e interpreti capaci e un’équipe tecnica di qualità. Il risultato è un prodotto originale, solido e di sicuro successo, lievitato nei costi, ma proporzionato al minimo del profitto previsto, che oggi ha già superato i 100 milioni di dollari worldwide. Di primo acchito può sembrare tutto piuttosto semplice e scontato, ma non è così.

10cl3Intanto va detto che, sul piano testuale, le scelte di revisione riguardanti la sceneggiatura sono state tutte molto intelligenti. La sceneggiatura di partenza non ha subito importanti stravolgimenti, ma anzi, si è scelto di sfruttare l’ambiguità di genere giocando sulla suspense e sui diversi registri – quelli del thriller psicologico e claustrofobico e della fantascienza post-apocalittica – alla maniera dell’ottimo Take Shelter (Jeff Nichols, 2011). Come il film di Nichols, infatti, il blocco narrativo centrale è rimasto indecifrabile e subordinato a una cornice che, solo in chiusura, chiarisce la storia nel significato e nel genere, mantenendo così un certo grado di imprevedibilità. Se ben gestita, tale ambiguità può garantire un ritmo efficace – e in una storia povera di spazi e personaggi non è cosa da poco – che 10 Cloverfield Lane organizza attraverso una regia elegante, strutturata e priva di banalità a effetto – la sequenza della cena, in cui Michelle/Mary Elizabeth Winstead tenta di sottrarre le chiavi a Howard/John Goodman, vanta un camera-script che esalterebbe anche Alfred Hitchcock – in cui se da un lato vengono sfruttate tutte le possibilità stilistiche della dilatazione temporale, dall’altro si ottiene il massimo rendimento della suspense grazie all’ambientazione circoscritta e forzata. Il titolo, nondimeno, esprime la medesima ambiguità, e se il termine Cloverfield non può che richiamare il film di Reeves e confermare qualche sospetto sulla realtà fuori dal bunker antiatomico, lo stesso, posto all’interno di un indirizzo, può apparire come del tutto casuale. Insomma, o si tratta di un altrove all’interno dell’universo Cloverfield, che fa di 10 Cloverfield Lane uno dei tanti luoghi in cui si sta manifestando la catastrofe, o si tratta di un bluff capace di tramutare un riparo sicuro in una trappola mortale. Nel finale, in cui il gioco si risolve in un “tutto di fatto”, il film torna a esprimersi nei modi e nei ritmi del franchise di appartenenza, ripristinando con un twist divertentissimo tutta la sua iperbolica urgenza. 10cl4Per quanto riguarda il paratesto possono essere fatte osservazioni simili. Non solo il titolo provvisorio Valencia è stato mantenuto fino all’uscita del film, scongiurando lo spoiler/equivoco Cloverfield 2, ma l’intera campagna, dalle sinossi rilasciate ai trailer ufficiali, ha giocato sull’ambiguità centellinando ogni informazione – il trailer, per esempio, organizza alcuni momenti della parte centrale del film secondo un climax in caduta libera trascurando tutti i plot point – cosa che ha generato non poca curiosità. Che dire, un B-movie 2.0 altamente godibile e da cui trarre insegnamento!

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