Hardcore: what a lovely movie !

hardcore1Che se ne sia parlato poco, o con pressapochismo, quando non decisamente male, mi è parso quasi imbarazzante, perché Hardcore! (Hardcore Henry, Ilya Naishuller, 2015) non è solo un film divertente e originale, ma anche intelligente ed estremamente raffinato. Ilya Naishuller, frontman dei Biting Elbows (band indie rock attiva dal 2008), realizza Hardcore! ispirandosi al video del proprio singolo Bad Motherfucker (2013) – da lui ideato e diretto – che si distingueva per il lungo e scombussolante piano sequenza in soggettiva. Con Hardcore! Naishuller riprende quell’idea, sollecitato dal mecenate Timur Beckmambetov, e la spalma in 96 minuti di un virtuosismo che, più che visivo, è intellettuale. La trovata che sta alla base di Hardcore!, ossia quella di girare il film interamente in prima persona, non è certo una novità in ambito cinematografico, ma nei modi con cui Naishuller la approccia e la mette in pratica possono essere rilevati il senso e il valore dell’operazione.

Sembra un videogioco, ma non lo è

L’osservazione più banale che può essere fatta circa la differenza tra prodotto videoludico e prodotto cinematografico è quella che interessa il ruolo del fruitore. Se in un videogame è il giocatore a decidere quali azioni intraprendere – seppur in un ventaglio di possibilità limitato dall’impianto tecnico e narrativo del gioco – nel film lo spettatore non possiede alcuna facoltà decisionale e il suo sguardo resta subordinato alle scelte del o degli autori. Nel videogame il fruitore è attivo, nel film è passivo. Al di là della diversa natura dell’intrattenimento (interattiva nel primo e ricettiva nel secondo), è possibile sostenere che la conditio sine qua non della fruizione è rappresentata dal coinvolgimento, che a sua volta dipende dalla scansione degli eventi critici e risolutivi proposti. Se nei videogiochi tale scansione ha un andamento variabile, poiché è lo stesso gamer, impegnato in prima persona nel passaggio dalla missione A alla missione B, a regolarla, nel film di genere è l’articolazione prestabilita dei plot point a determinare il ritmo e l’armonia della narrazione. Ne consegue che alla propedeuticità delle pause nel videogame corrisponde, nel film, la problematicità dei cosiddetti tempi morti. Ergo, un film non è un videogioco e affrontare la visione di Hardcore! non è come farsi una partita.

hardcore2Le differenze che passano tra l’esperienza di gioco (di un game che assomiglia a un film) e quella di visione (di un film che assomiglia a un videogioco) possono essere rilevate grazie al walk-through, la guida strategica transmediale che può informare o aiutare un gamer a superare certe difficoltà. Un walk-through in formato video altro non è che una partita giocata, registrata e mostrata a scopo informativo. Per questa ragione, nel confezionarla per l’eventuale condivisione, essa subisce tutte quelle modifiche utili a renderla coinvolgente ed esplicativa: accelerazione, rallenty, zoom, voci fuoricampo, montaggio, etc. Si tratta di modifiche adottate anche nella narrazione cinematografica, utili a definire e focalizzare le informazioni visive. Nel cinema, a differenza del walk-through, a determinare la nascita di un film intervengono ragioni e approcci (legati all’intrattenimento) ben diversi, affrontati – prima di arrivare alla post-produzione – in fase di pre-produzione (scelta degli strumenti tecnici, del cast, delle location, la sceneggiatura, gli allestimenti scenografici e coreografici). Lo scopo di un film è, infatti (e prima di tutto), quello di raccontare una storia, per cui a strutturarlo intervengono tutte le strategie compositive e narrative specifiche del mezzo cinematografico. Perciò, tutto quello che osserviamo in Hardcore! – per quanto simile a quello che potremmo vedere in un videogioco – è il risultato di un lavoro complesso dove nulla è lasciato al caso e dove l’orientamento videoludico è solo un “riflesso incondizionato”. Per di più, in un film dove i limiti spaziali sono gli stessi di un comune first-person game, le suddette strategie dovranno essere anche piuttosto sofisticate per coinvolgere e convincere lo spettatore. Un limite o limita o crea occasioni…

hardcore3Sul piano ottico e scenografico Hardcore! riproduce la prospettiva e gli scenari tipici dei videogame. Tuttavia, sul piano narrativo la gestione dello spazio e del tempo trae forza e idee dalla sintassi filmica. Se, infatti, l’unico punto di vista è quello del protagonista Henry (interpretato da 12 persone diverse tra attori, stuntmen, traceurs e regista), le limitazioni legate a questa scelta sono risolte in maniera squisitamente cinematografica sfruttando al meglio sia il (corto) raggio d’azione del protagonista, sia la dimensione ipertestuale del campo – di cui mi occuperò nella sezione successiva. La sceneggiatura di Hardcore! replica piuttosto fedelmente la struttura e le figure dei più comuni action-adventure game. Si va dalla saga di Metal Gear – come non accostare Akan/Danila Kozlovsky al villain Liquid Snake? – passando per l’ironia dei primi FPS Quake e Duke Nukem, per le ambientazioni immersive di Far Cry e Call of Duty, per le trame complesse e gli elementi RPG di BioShock – da cui sembra uscito il mitico helper Jimmy/Sharlto Copley – fino alle eterogenee ed evolute interazioni spaziotemporali proposte dai FPP Mirror’s Edge, Assassin’s Creed e GTA, titoli tutti ampiamente citati nel film. Tuttavia, se Hardcore! mima il gameplay run and gun di molti FPS, mettendo in scena una serie di prove a difficoltà incrementale, agevolate dai potenziamenti del personaggio, da risolvere lungo un percorso mappato, l’articolazione delle mission e dei power-up rispetta sia il ritmo dell’azione cinematografica, limitando al minimo i tempi morti, sia la spettacolarizzazione della soggettiva, lavorando sulle modalità di visione (il come più che il cosa). Se il ritmo dell’azione, rapido e costante, crea qualche problema con la motion sickness (l’effetto instabile della Gopro fissata al corpo tende a “disinquadrare” continuamente l’inquadratura), le modalità di visione restituiscono allo spettatore le caratteristiche tecno-organiche del protagonista, offrendo una più fedele ed efficace immedesimazione. Il primo è coadiuvato dall’impiego di un misurato e talvolta impercettibile montaggio (ellissi brevissime, raccordi accurati sul movimento e flashback ad hoc), mentre le seconde sono favorite da espedienti legati alle condizioni fisiche e ambientali (viraggi, sfocature, blackout, split screen), alcuni in grado di rendere possibili visuali davvero insolite – quelle relative all’occhio estraibile sono formidabili e inscenano uno degli omicidi più originali della storia del cinema. Pertanto, liquidare Hardcore! come “film simile a una partita giocata da un altro” non è solo scorretto, ma tradisce una grave miopia culturale.

Assomiglia a un POV, ma è di più

hardcore4Chiarito questo primo equivoco, si può passare a un secondo e importante aspetto che interessa la collocazione di Hardcore! all’interno della più vasta produzione cinematografica. Si sono spese un po’ di parole sul ruolo della soggettiva nel film, tirando in campo una serie di prodotti che – al pari delle similitudini proposte con i videogame – hanno in realtà ben poco da spartire con il lavoro di Naishuller. L’uso della soggettiva in Hardcore! è sensibilmente diverso da quello proposto in film come Cannibal Holocaust (1980), The Blair Witch Project (1999), Paranormal Activity (2007), REC (2007), Diary of the Dead (2008) o Cloverfield (2008) per due evidenti ragioni. Per prima cosa, in questi film, la ripresa non coincide necessariamente con la visione di un personaggio (e la loro efficacia dipende spesso e soprattutto da questo scarto), ma mostra la rilevazione di uno strumento di registrazione audio/video. La ripresa, quindi, può essere considerata una soggettiva per interposta strumentazione (diegetica), grazie alla quale non solo sussiste una più vasta libertà espressiva – la dislocazione del punto di vista, ossia il passaggio del mezzo nelle mani di più personaggi e la dislocazione di funzione, rimodulazione da soggettiva a oggettiva – ma anche maggiori possibilità di articolazione narrativa e di messa in scena. Secondariamente, e di conseguenza, la soggettiva utilizzata in questi film produce una drammaturgia e un’immedesimazione tanto diverse quanto più lo spettatore ha la possibilità di localizzare la ripresa. Se, per esempio, il faux found-footage* introduce primariamente una distanza temporale, perché il mostrato rappresenta un evento già accaduto, il live mockumentary** ne interpone solo una spaziale, poiché dichiara l’hic et nunc del mostrato. L’unico caso in cui questo distacco è azzerato è lì dove viene meno la presenza degli strumenti di ripresa e la soggettiva esprime, senza mediazione, il percepire e l’agire di un unico personaggio.

hardcore5A questo punto, i film a cui può essere accostato Hardcore! si riducono sensibilmente, evidenziando non solo tutte le difficoltà che una scelta del genere comporta, ma anche l’assoluta qualità del film. Il primo e più importante – omaggiato da Naishuller mediante l’inserimento della locandina nel film e non solo – è Una Donna nel Lago (1947), pellicola interamente realizzata in soggettiva in cui il protagonista (Philip Marlowe/Robert Montgomery) viene mostrato in sole tre occasioni riflesso su specchio. Il film di Montgomery, a sua volta ispirato dal più “timido” e coevo La fuga (1947), impiega la soggettiva con originalità e intelligenza, offrendo un prodotto interessante e fedele all’opera di Raimond Chandler da cui è tratto. Tuttavia, il genere noir e la sceneggiatura (più incline allo psicodramma che all’azione) si rivelano habitat inadatti allo sfruttamento intensivo della ripresa in soggettiva, soluzione che invece ben si presta alla struttura dinamica di Hardcore! Ulteriori esempi accreditabili possono essere La donna proibita (1997), Arca Russa (2002), Lo Scafandro e la Farfalla (2007), Enter the Void (2009) e, non ultimi, i video pornografici POV, prodotti diversi che impiegano la soggettiva con scopi e modalità differenti, pur esprimendo il punto di vista di un unico personaggio. La vera fonte di ispirazione di Harcore! resta, però, un film che si serve della soggettiva in maniera davvero singolare, innovativa e coinvolgente, ossia Strange Days (1995). A questo punto qualcuno potrebbe osservare: “Perchè Strange Days dal momento che A) non è realizzato interamente in soggettiva, B) non si serve di un unico punto di vista, C) impiega uno strumento di mediazione (lo squid) e D) le sequenze in prima persona sono, di fatto, faux found-footage? Obiezioni più che legittime. La risposta, semplicemente, è che le esperienze di vita mostrate all’interno del film della Bigelow sono quanto di più vicino possa esserci all’esperienza di visione di Hardcore!, offrono cioè la possibilità di calarsi in un corpo estraneo, privo di ricordi pregressi, restando fino alla fine – per dirla alla Lenny Nero – “filocollegati”.

hardcore6L’ultima questione, già precedentemente accennata, riguarda la dimensione ipertestuale del campo. Le limitazioni cui è sottoposto Hardcore! consistono in impedimenti di tipo spaziale (unico punto di vista) e temporale (quasi un tempo reale). Per uscire dall’impasse e realizzare uno spettacolo più ambizioso, non ridotto alla pura azione che si lascia indietro il poco che mostra e suggerisce – che poi è quello che fa Crank (2006) – Naishuller sceglie di allestire e decorare lo spazio (fisico e virtuale) che ha a disposizione con una miriade di riferimenti (ottici, verbali, musicali). E lo fa al punto tale che, a fianco di Henry e della sua avventura, non si può fare a meno di intraprendere un tour lungo la storia del cinema. Ora, ho potuto vedere Hardcore! solo un paio di volte, ma in queste due occasioni sono riuscita a contare non meno di una 50ina di citazioni (quindi sono sicuramente di più), tutte perfettamente idonee all’avventura postmoderna rappresentata dal film. Si va dal silenzio di Henry, che non solo emula e adotta le ragioni del first-person game in cui il personaggio – per una maggior identificazione – non parla quasi mai, ma richiama, sfruttando anche una gestualità accentuata e velocizzata, i protagonisti del cinema muto e la comicità slapstick. Si nomina Charlie Chaplin, e sembra di vederlo quando il protagonista scuote la testa bassa alla domanda di Estelle/Haley Bennett: “Non ti ricordi proprio di me, Henry?”, ma si vedono anche Buster Keaton negli inseguimenti e nelle fughe acrobatiche e Harold Lloyd nelle situazioni più rocambolesche, senza contare il generale non-sense in cui hanno origine gli accadimenti. Incursioni nel cinema di fantascienza, da L’Impero colpisce ancora (1980) – la possibile voce di Henry – a Robocop (1987) – la sequenza iniziale – a Strange Days (1995) – il flashback dell’amplesso con Estelle – a Matrix (1999) – i “corpi coltivati” e le “bioporte”. Si passa poi al revenge movie con le citazioni del Charles Bronson della saga Il Giustiziere della notte (1974), striate dall’ironia plisskeniana di Fuga da New York (1981), per poi fare una capatina nell’exploitation con la sequenza hot ambientata nel bordello, in cui fanno l’apparizione due gelose e virulente Supervixens (1975), fino alla fuga in motocicletta e alla sequenza “allucinata” nella foresta in stile Easy Rider (1969). Non manca un delizioso richiamo al western I Magnifici Sette (1960) – la parodica scena a cavallo – ma nemmeno un accenno al musical – Sharlto Copley nella poliedrica performance di I’ve got you under my skin. E poi l’hard-boiled del già citato La Donna nel lago, passando per il cinema action orientale da The Killer (1986) su fino a The Raid (2011), arrivando al pulp di Tarantino e alla magnifica sequenza sul tetto luminoso in stile Kill Bill (2003), in cui Henry si scontra con “88 folli” vestiti di bianco che, però, ricordano più gli zombie anonimi de La Notte dei morti viventi (1968) o gli infetti irriducibili di Resident Evil (2002). E anche se la minaccia faccia a faccia di Akam, deformata dal primissimo piano come Alex DeLarge in Arancia Meccanica (1971), sembra non lasciare scampo, mancano ancora le ritorsioni iperboliche di Henry alla Ichi The Killer (2001)… E chi più ne ha, più ne metta.

faux found-footage* falso reperto audio/video utilizzato in (o a intera copertura di) un film, Es. V/H/S (2012)

live mockumentary** falso documentario in presa diretta inserito in (o a totale copertura di) un film, Es. The Visit (2015)

2 Commenti su Hardcore: what a lovely movie !

  1. Emme
    26 Aprile 2016 at 17:13 (8 anni ago)

    Occazzo, Haley Bennett! A questo punto non ho più scuse.

  2. Marienbad
    26 Aprile 2016 at 18:28 (8 anni ago)

    Non ne hai mai avute.