Inside Out: capolavoro for dummies

inside1Acclamato dalla critica e osannato dai pubblici di ogni luogo, Inside Out (Pete Docter, 2015), l’ultima fatica Disney/Pixar, è un prodotto che, al netto delle numerose e simpatiche trovate simboliche, rivela una natura ambigua, dovuta alla mancata individuazione di un target primario.

Quando si ha a che fare con i prodotti dedicati ai pubblici adulti un’indeterminazione – chiamiamola – “vettoriale” solitamente non produce effetti riconoscibili e/o compromettenti rispetto al generale impianto comunicativo, questo perché in genere gli adulti, anche manifestando grosse differenze culturali, posseggono background cognitivi di pari livello (possono accettare o meno quello che osservano, ma non hanno  grosse difficoltà a capirlo).  Nel caso dei film d’animazione invece, nel cui target rientrano i bambini, questa incertezza di indirizzo, e quindi di intenti, può generare alcune anomalie di natura semiotica. A loro volta queste anomalie possono portare gli spettatori a formulare terreni ricettivi inadeguati che suscitano reazioni impreviste quali l’incomprensione, la delusione delle aspettative, ma anche una sommaria sopravvalutazione. Come noto, nell’allestimento di un prodotto cinematografico di successo, è abbastanza importante tenere in considerazione uno o più target di riferimento sui quali modellare i parametri comunicativi, rendendo quindi il linguaggio verbale, visivo, musicale, i metalinguaggi etc… più idonei a preparare e soddisfare la ricezione dei diversi pubblici. La pratica, sicuramente complessa, è attuabile entro certi limiti, ma assolutamente necessaria. E’ chiaro che nel momento in cui i modelli ricettivi dei target prescelti si discostano in maniera così rilevante, come nel caso degli adulti e dei bambini, la questione tende a complicarsi ulteriormente.

inside2 I bambini hanno sicuramente meno esperienze, conoscenze e capacità astrattive per poter interpretare e valutare determinati costrutti simbolici e, nella maggior parte dei casi, la loro ricezione si basa sull’estrapolazione e connessione di significati chiari e semplici. Quando questi significati mantengono una loro preminenza ed evidenza sulla superficie del tessuto comunicativo del film, allora, che questo sia più o meno complesso o più o meno sofisticato, la sua missione divulgativa non risulterà pregiudicata. Diversamente, nel caso in cui i messaggi destinati ai bambini tendessero a confondersi o a restare oscurati da quelli destinati agli adulti, la loro ricezione sarebbe compromessa. Non solo. Se il target primario fosse addirittura alternato – alcuni aspetti del linguaggio modulati sulla ricezione degli adulti e altri aspetti modulati sulla ricezione dei bambini – il risultato sarebbe un oggetto corrotto nella composizione e nel messaggio, difficilmente comprensibile per i bambini e autonomamente “compilato” dagli adulti. Sarebbe insomma un prodotto debole. Inside Out, nonostante il successo – che si spiega nell’adesione dei soli pubblici adulti, ma che varrebbe la pena riscontrare presso i più piccoli – rientra in quest’ultimo caso.

inside3La fortuna di un film come Inside Out risiede nel fatto che, quando hanno a che fare con i film d’animazione (tarati sui pubblici più giovani), gli adulti si dimostrano meno critici e più accomodanti, tendendo a trascurare alcuni linguaggi e a sopravvalutarne altri. Gli aspetti maggiormente trascurati sono quelli che interessano la sceneggiatura e la regia, considerati appunto meno importanti nelle dinamiche di apprendimento e gradimento dei bambini. Per contro, però, tendono ad attribuire valore eccessivo agli aspetti a loro esclusivamente dedicati come quelli metalinguistici. Le citazioni, in special modo, soddisfano alcune necessità interpretative coinvolgendo lo spettatore adulto in uno spettacolo fondamentalmente non tagliato per lui. Di conseguenza esso tende a valutare il prodotto sulla base di singoli aspetti che, in altre circostanze, non si farebbe mai bastare. Il caso di Inside Out è emblematico perché, valutando il film a comparti stagni, è facile osservare alcuni difetti compositivi. Il primo, di entità maggiore per i bambini e di entità poco rilevante per gli adulti, è che la sceneggiatura palesa gravi carenze nella gestione dei passaggi dal mondo esterno a quello interiore – sul piano verbale non sono state integrate spiegazioni per facilitarne la comprensione e su quello visivo il tutto è delegato a un semplice zoom, che non può certamente veicolare un’astrazione di tale portata ad un pubblico molto giovane. La seconda, di entità maggiore per gli adulti ma del tutto ignorata, è che i rapporti tra situazione esterna e reazioni interiori appaiono squilibrati nei tempi e negli spazi di rappresentazione (succede più nella testa che nel mondo sensibile) e fondamentalmente sconnessi (le cause e gli effetti non sono efficacemente intrecciati).  Per gli adulti, infatti, è facile e scontato compensare e intuire perché in alcune situazioni certe emozioni hanno la meglio su altre, o perché determinate condizioni emotive generano precise rappresentazioni o evoluzioni narrative, ma non è altrettanto semplice per i bambini sopperire a certe ellissi concettuali. I luoghi, i personaggi e le funzioni della mente mancano di un corrispettivo reale forte e riconoscibile, sono metafore per noi adulti che, però, ai bambini raccontano una storia a parte, della quale la piccola Riley e i genitori rappresentano solo un simpatico intermezzo. A ridosso di questa considerazione, la storia delle cinque emozioni che si muovono in uno spazio limitato ma saturo di informazioni caotiche, non può che restituire al suo piccolo pubblico una mission poco chiara e una vicenda poco avvincente. Si salvano i colori ipnotici e qualche gag fine a se stessa. Troppo poco per farne un successo di pubblico infantile – che di fatto tende a preferirgli i Minions.

inside4Diversamente, tutto ciò che interessa l’apparato metalinguistico, dalle citazioni visive e sonore (il pensiero astratto spiegato attraverso Flatlandia, Kandinskij, Picasso e Mondrian) fino alle costruzioni allegoriche del passaggio all’adolescenza (il cambiamento cromatico delle biglie/ricordo e la dipartita fisica e virtuale di Bing Bong) – autentiche strizzate d’occhio a un pubblico maturo, colto ed esigente che vuole, dopotutto, sentirsi partecipe – appare talmente studiato e ben realizzato da suggerire che, dopotutto, questo sia un film d’animazione per adulti. Fosse così ci sarebbe meno da recriminare, ma la verità è che passando al vaglio ogni aspetto nell’ottica del “film per adulti”, a risultare efficace e avvincente sarebbe comunque poco. Non solo la vicenda narrata, l’articolazione dei plot point, e la risoluzione del conflitto sono deboli e approssimativi, ma il sostrato filosofico risulta banalizzato dalla paradossale mancanza di emozioni, surrogate dai personaggi ma sostanzialmente assenti.

Inside Out, in fin dei conti, pare essere un film intellettuale per bambini, e un film infantile per adulti, riuscito solo a metà: la metà che conta (perché dedicata a chi paga).

3 Commenti su Inside Out: capolavoro for dummies

  1. Emme
    6 Ottobre 2015 at 13:56 (9 anni ago)

    È stata una mezza delusione. Costruito male sotto diversi aspetti e neanche troppo coinvolgente dal punto di vista emotivo, cosa che mi sarei aspettato a prescindere da eventuali difetti. Connessioni e logica spesso a volentieri tirate via a cazzo e niente, fondamentalmente concordo con la tua analisi. Soprattutto quando dici:

    La fortuna di un film come Inside Out risiede nel fatto che, quando hanno a che fare con i film d’animazione (tarati sui pubblici più giovani), gli adulti si dimostrano meno critici e più accomodanti, tendendo a trascurare alcuni linguaggi e a sopravvalutarne altri. Gli aspetti maggiormente trascurati sono quelli che interessano la sceneggiatura e la regia, considerati appunto meno importanti nelle dinamiche di apprendimento e gradimento dei bambini. Per contro, però, tendono ad attribuire valore eccessivo agli aspetti a loro esclusivamente dedicati come quelli metalinguistici. Le citazioni, in special modo, soddisfano alcune necessità interpretative coinvolgendo lo spettatore adulto in uno spettacolo fondamentalmente non tagliato per lui. Di conseguenza esso tende a valutare il prodotto sulla base di singoli aspetti che, in altre circostanze, non si farebbe mai bastare.

    Parola per parola (o lettera per lettera, tanto per citare John Candy).

  2. Andrea Maga
    6 Ottobre 2015 at 16:12 (9 anni ago)

    Ho detto la stessa cosa a Claudia sul film intellettuale per bambini e infantile per adulti. Anche se forse sono stato un filino meno convincente. 🙂
    Che poi, a voler essere pignoli e freudiani, un omino del “piacere” forse forse ci doveva essere.

  3. Marienbad
    6 Ottobre 2015 at 18:46 (9 anni ago)

    Sono felice di condividere del sano e costruttivo astio nei confronti del film, che è tutto fuorché un capolavoro, ma soprattutto sono felice di vedere ben due commenti!