The hateful years

mostviolenteigh1Sarà un’impressione mia, o sarà un segno dei tempi, ma pare che negli ultimi anni la produzione cinematografica e televisiva statunitense si sia concentrata su una questione sentita come improrogabile, portando numerosi personaggi a calcare epoche e scenari passati alla ricerca dei motivi che hanno portato alla crisi di valori e delle istituzioni con cui oggi gli americani hanno a che fare. Tornare sui propri passi per mostrare, dichiarando una omnis culpa, che il terreno su cui sono stati edificati i diritti e i doveri (pubblici e privati) era allora talmente melmoso da minarne irrimediabilmente una solidità a lungo termine. Si torna indietro per svelare che il senso comune di giustizia, dietro il quale ogni individuo protegge i propri interessi, è in realtà il frutto di una serie di compromessi deplorevoli in base ai quali ha avuto origine un sistema le cui inclusioni ed esclusioni sono state gestite con le menzogne, i ricatti e il sangue. A seconda di quali leggi – universali, sociali, civili, economiche – si voglia revisionare, si va a ritroso nel tempo ambientando un film o una serie tv nel giorno, nell’anno o nella decade in cui si sono verificate determinate fratture. Prodotti di genere, film drammatici, d’inchiesta o documentari poco importa, ciò che sembra prioritario è smascherare l’attendibilità e l’eticità di sistemi che vengono oggi considerati equi e imperituri, mostrando come chi vi opera sia, in realtà, un criminale ripulito e riabilitato dalle esigenze storiche. mostviolenteight2Se un film come The Big Short (Adam McKay, 2015), occupandosi di problemi di natura economica piuttosto recenti, sceglie di fare un brevissimo balzo all’indietro attribuendo le colpe a un sistema marcio di cui si sono perse le tracce (e le responsabilità) umane; il finale della seconda stagione di Fargo (2015), con la riassegnazione del sicario Mike Milligan (Bokeem Woodbine) nel settore del recupero crediti, sembra voler aprire un nuovo capitolo sulla relazione ambigua tra il crimine da strada e il terrorismo burocratico dei piani alti, del quale potrebbe costituire un ideale seguito l’ultimo film di Chandor. A Most Violent Year (Jeffrey C. Chandor, 2014), infatti, pare volersi occupare della medesima questione, lasciando però che essa emerga silenziosamente dalle strade pericolose e dalle relazioni sempre più compromesse di personaggi prima ingenui, poi disperati, poi cinici e infine disposti al peggio pur di far parte di un sistema patrocinato. mostviolenteight3Al di là della confezione, dell’avvincente thriller ambientato nel 1981 a New York – l’anno più violento della storia della metropoli – che vede gli immigrati Abel Morales (Oscar Isaac) e consorte portare avanti la loro attività tra mille difficoltà, l’attenzione sembra posta piuttosto sulla parabola noir che porterà Abel a valicare il confine che separa l’integrità (fisica e legale) dal sopruso (psicologico e morale) e che gli intrighi di potere tendono a spostare. Tra teppisti mercenari, imprenditori arrivisti e gangster senza scrupoli, che fluttuano come figure fantasma lungo tutto il film, il protagonista si impegnerà costantemente nella ricerca di una via d’uscita per non impigliarsi nelle maglie della corruzione, finendo tuttavia per creare una più evoluta forma di “prevaricazione conforme” che gli garantirà un posto privilegiato nel neonato sistema delle Corporation.

mostviolenteight4A modo suo, e in maniera più ironica, smaccata e metaforica, anche il Tarantino di The Hateful Eight (Quentin Tarantino, 2015) sembra voler rintracciare le origini del potere e la sistemazione dei ruoli all’interno della società americana, e lo fa compiendo il balzo all’indietro più lungo di tutti, spingendosi fino al 1867, nell’immediato dopoguerra. Sono gli anni in cui i piani di ricostruzione approntati da Abraham Lincoln – a cui forse ammicca la lettera nel film – furono in parte sabotati e gli americani, impoveriti (economicamente e ideologicamente) dal conflitto, si aggrapparono ai loro presunti diritti dando vita a una sanguinosa ondata di criminalità. Sudisti contrapposti ai nordisti, bianchi contrapposti ai neri e ai messicani, americani e europei avversi, femmine indipendenti contro maschi prepotenti e uomini di legge e giustizieri in lotta per i ricercati e le taglie sulla loro testa… Tarantino li recluta tutti, li barrica in un emporio nel bel mezzo di una tormenta di neve e lascia che la storia faccia il suo corso. Tra diritti pretesi e acquisiti, tra enormi menzogne e mezze verità, tra ambiguo protezionismo e pugnalate alle spalle, si stabilisce così una nuova gerarchia del potere. Un potere zoppicante ma legittimato dalle circostanze, che nasconde un passato oscuro e ingiusto, è perciò fortemente instabile…

Le repliche sono terminate.