Vinyl: il pilot che sembra un film che sembra un videoclip

Vinyl1Ci sono pilot e pilot, ma il primo episodio di Vinyl (Martin Scorsese, 2015- ) è quanto di più fervido e travolgente si possa trovare nel panorama televisivo attuale. La serie, che racconta l’ascesa del rock e del punk nella New York degli anni Settanta attraverso le vicissitudini di Richie Finestra (Bobby Cannavale), presidente dell’American Century, un’etichetta discografica in crisi, sembra decisa a osservare quegli anni mantenendo una sorta di distanza, volgendo lo sguardo all’indietro in una prospettiva attuale, critica, ironica. Innanzitutto Vinyl non solo assolve il suo dovere primario, che è quello di mantenere alta l’attenzione dello spettatore e invitarlo a un’intesa seriale, ma riesce nell’impresa ribaltando – almeno in parte – i codici narrativi, stabilendo cioè un’insolita (e azzardata) gerarchia della fruizione anteponendo la suggestione della musica al racconto per immagini. Fin dalle prime sequenze è chiaro che sia la musica a trainare i messaggi e i sentimenti della vicenda, una musica apparentemente ingestibile che si sposta incurante tra la realtà della fiction e quella dello spettatore, passando continuamente da uno status diegetico a uno extradiegetico. Le immagini, di conseguenza, ne assecondano il comportamento cavalcando i ritmi e le inclinazioni sonore e lasciando che i luoghi e le figure del passato appaiano dal nulla (nella forma del flashback e degli intermezzi musicali) rubando la scena al presente. Vinyl, insomma, assomiglia a quei videoclip in cui, anche quando le immagini raccontano una storia, non ci si smarrisce troppo se, a un certo punto, ci si allontana per seguire il sound e rintracciarne la fonte, abbandonando completamente la dimensione narrativa.

Vinyl2In questa rassegna sovvertita Scorsese sembra riscoprire le influenze e le agitazioni di quegli anni mescolando i frammenti di una realtà lontana e sbiadita ai riferimenti più caratteristici del suo cinema, combinando realtà e immaginario in un pastiche surrealista. Sono presenti gli erratici tragitti in macchina e gli ipnotici slow motion (Taxi Driver e Fuori Orario), gli sguardi allucinati immersi in situazioni grottesche (Mean Street, Quei Bravi Ragazzi) e gli angusti scenari notturni dilatati dall’echeggiante accompagnamento musicale, ambientati però in un universo autentico – la sequenza del crollo del palazzo ne è un esempio lampante. La stessa struttura dell’episodio richiama la sospensione temporale dentro cui Finestra si muove, o nella quale si lascia cullare. L’intera esposizione dei fatti, a seguito dell’intro, è mostrata come fosse un lungo flashback nel quale si articolano ulteriori flashback che spostano avanti e indietro la narrazione, il che tende ad amplificare l’effetto “già trascorso” e straniante dell’episodio. Chi sia Finestra lo scopriamo man mano che la musica cambia intorno a lui, ma soprattutto dentro e attraverso lui, perché ciò che rileviamo, più che raccontato, è rimembrato. Le stesse battute pronunciate da Finestra sottendono una spassosa onniscienza, propria di colui che giunge al passato dopo aver viaggiato nel tempo, proprio come in un episodio di Quantum Leap. La risposta di Richie alla battuta sul nazismo è simbolica: “Too soon”, troppo presto per scherzarci su dopotutto sono solo gli anni Settanta, un commento che sottolinea la sua estraneità, la sua provenienza e, soprattutto, la sua saggezza ambigua e anacronistica. Succede anche con tutto ciò che riguarda la musica, che lui sa interpretare e stimare con un anticipo che, più che competenza, sembra profezia – “Sentite quello che sento io? Questi (riferendosi agli Abba) riempiranno gli stadi”. Vinyl3Se 120 minuti potrebbero sembrare eccessivi per un pilot, la verità è che in quelli Scorsese è riuscito a infilare tutta un’epoca, l’interpretazione di quell’epoca e la nostalgia di quell’epoca con un’abilità e leggerezza magistrali. Resta solo da scoprire se gli episodi successivi sapranno, almeno, cavalcare l’onda lunga prodotta da Scorsese…

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